La Janara by Maria Rosaria De Santis

Esce solo di notte. Ha le calze strappate e la faccia stanca, ma pure se ha sonno non vuole dormire. Va in cerca di innamoramenti e di sconfitte, di botte in faccia e di fatti improvvisi e inaspettati. 

Di recente si è comprata un fucile. Al buio, di notte, la canna del fucile pare un ramo storto e invece è un’arma e votta a uccidere bestie e cristiani. La notizia del fucile si è diffusa in fretta nel paese ed ora, da che nessuno la guardava in faccia, le leccano il culo tutti quanti. Vogliono stare dietro a lei mentre cammina con il fucile dietro la schiena, vogliono sentire la puzza della paura di quelli che sono rimasti disarmati. Vive nel paese da molti anni e conosce tutto dei boschi che lo circondano. Con i suoi unguenti, estratti dalle piante che raccoglie seguendo il rituale ciclico delle stagioni,  cura malattie di cui i medici che la chiamano strega non saprebbero nemmeno dire il nome. Ma non è mai servito a niente: prima del fucile, stava sempre sola come un’appestata. Quelli del paese non la capiscono la magia della terra, che non ha né schiavi né padroni, conoscono solo il linguaggio delle mazzate. Si schifano di lei e del disordine, sono cani affamati buoni solo ad andare appresso al primo con la voce grossa che gli fa credere di avere ragione. 

Ma lei non si scorda di quando la sfottevano e le tiravano i sassi appresso, di quella volta che uno di loro le ha scritto puttana sul muro di casa. Il fucile se l’è comprato per difendersi da quelli che adesso la inseguono e cercano la sua protezione. Sono brutti tempi, questi le dicono a mò di scusa, mentre la seguono dappertutto, guardandosi attorno sospettosi, e già le è arrivato all’orecchio che qualcuno più coraggioso medita di chiederle in prestito il fucile.

Lei sopporta i ringraziamenti viscidi e gli inviti ipocriti nei posti dove in altri tempi non l’avrebbero voluta vedere neanche pittata. Sa che tanto il suo posto è nelle notti di tutte le città del mondo, pure nelle strade più sporche e abbandonate, dove quelle come lei si incontrano e si riconoscono. 

Ma ogni tanto la pazienza vacilla e le viene una rabbia in petto forte, come di sangue.
Allora li guarda fisso con i suoi occhi gialli da strega e pensaattenti, attenti che sparo. Io sempre janara rimango.


Author Statement

Artwork by Carla Rosaria Grauso

Le janare sono streghe della tradizione campana, che secondo antichi miti popolavano i boschi e le campagne. Secondo gli storici, si trattava di vere e proprie scienziate, le quali avevano intuito i poteri curativi delle piante, allora gli unici farmaci disponibili, mettendoli a disposizione della collettività. La persecuzione delle streghe fu il simbolo del passaggio del Medioevo all’età moderna. In particolare, a Benevento, la privatizzazione delle terre creò alle janare, abituate a raccogliere liberamente piante e fiori, un problema pratico: quelle terre erano da tempo immemore destinate alla proprietà collettiva ed indivisa dell’intera comunità ma improvvisamente diventarono inaccessibili e chiunque vi si avventurava senza permesso divenne un ladro e un fuorilegge.

Con questo breve racconto, intendo accogliere gli inviti degli storici e raccontare le janare come custodi di un mondo antico e misterioso, incompatibile con l’individualismo estremo e la violenza incessante della società contemporanea.

Ho deciso di scrivere in italiano mantenendo il ritmo e la collocazione delle parole nella sintassi tipica del napoletano, con l’intento di conferire melodia alle frasi. Inoltre, ho mantenuto integre nel testo alcune espressioni napoletane, essendo impossibile rendere il loro significato autentico utilizzando l’italiano.

Sappiamo molto poco dei processi alle streghe campane, che si concludevano nella maggior parte dei casi in atroci supplizi per le condannate. Molti degli archivi sono andati perduti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e di queste donne, vittime dell’incredibile stupidità dei loro contemporanei, non conosciamo neppure il nome. Alla loro memoria questo breve racconto, il quale intende comunicare alle streghe dei nostri tempi che in qualsiasi luogo o epoca, in ogni angolo del tempo e della storia, bisogna sempre essere quel che si è.


March 2024 Creative Corner prompt response, published with the author's and artist’s permission. Copyright © 2024 story by Maria Rosaria De Santis and artwork by Carla Rosaria Grauso. Sign up for our newsletter for a chance to be featured on our blog, Pensieri.


Maria Rosaria De Santis (Castellammare di Stabia, 1998) is an Italian poet and student. She’s the author of L’amore immaginario (L’Erudita, 2022), a collection of poems about love, freedom, and feminism. Her poems have been published in different Italian journals, such as La Repubblica. She graduated Law in 2021 discussing a thesis on the prohibition of torture in international law, and she’s currently studying to pursue a career in the field of human rights protection. She loves reading, travelling, photography, and cinema.

 

Carla Rosaria Grauso (Marcianise, 1997) is an architecture graduate, but in her spare time she creates illustrations, comics, poems, and short stories. She is a proud intersectional feminist and strives to convey this message in all her work. For a year, she has been managing the Instagram page @altheaandherwonderland, where she publishes her artworks.